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Pubblicato il

16 Febbraio 2024

Autore

Daniele Ditta

Tempo di lettura

3 min

I potabilizzatori di Siciliacque a confronto: analogie e differenze

Il 58% dell’acqua che ogni anno Siciliacque immette nella sua rete di distribuzione proviene da dighe e fiumi e, per diventare potabile, viene trattata nei cinque potabilizzatori sparsi sul territorio regionale: Ancipa (nel comune di Troina), Fanaco (Cammarata), Blufi (Resuttano), Sambuca e Gela.

Il funzionamento di questi impianti si basa su un processo chimico che prevede la rimozione di metalli, sostanze organiche, carica batterica e torbidità attraverso reagenti chimici e su un trattamento fisico che sfrutta l’azione della forza di gravità per rimuovere le impurezze dall’acqua.

I reagenti chimici vengono dosati in ingresso al potabilizzatore, nelle sezioni intermedie dell’impianto ed in uscita dal potabilizzatore. L’acqua da trattare, tramite tubazioni, viene convogliata nelle vasche dell’impianto di potabilizzazione, i chiarificatori, dove si compie la prima separazione dei solidi dall’acqua, che aumenta via via la sua purezza. I solidi rimossi si accumulano sul fondo di tali vasche, formando il fango; mentre l’acqua chiarificata risale in superficie e viene convogliata in apposite canalette.

Il trattamento successivo è quello della filtrazione, che avviene con l’ausilio di uno strato di sabbia. L’acqua attraversa la sabbia, che trattiene le impurezze. A questo punto, l’acqua filtrata – assimilabile ad acqua potabile – deve essere solamente disinfettata per eliminare la carica batterica. Per farlo si usa il biossido di cloro e/o l’ipoclorito di sodio: disinfettanti che garantiscono la potabilità fino al rubinetto di casa.

Il processo di potabilizzazione dell’acqua dà origine a un prodotto di scarto, il fango, che viene convogliato nell’ispessitore (una vasca circolare simile al chiarificatore) per il recupero della frazione liquida. L’acqua torna così in testa al ciclo di trattamento, mentre il fango, che si deposita sul fondo dell’ispessitore, viene convogliato mediante pompe alla stazione di disidratazione, dove viene rimossa un’ulteriore frazione acquosa ed il prodotto finale solido viene invece conferito in discarica e/o impianto di riutilizzo.

Basta dare un’occhiata alle fotografie scattate dall’alto per accorgersi delle analogie e delle differenze fra i vari potabilizzatori.

 

 

La cosa che salta subito all’occhio sono le vasche per la cosiddetta chiarificazione, ovvero il processo che consente la separazione delle impurezze dall’acqua: all’Ancipa, al Fanaco e a Sambuca sono circolari; mentre a Blufi e Gela sono quadrate. E, specie a Gela, più compatte. “Il potabilizzatore di Gela – spiega Francesco Iervolino, responsabile area gestione Impianti di Siciliacque – interamente realizzato dalla nostra Azienda con propri fondi, nasce su una superficie ridotta rispetto a quella degli altri potabilizzatori. Servivano quindi impianti più compatti. La chiarificazione in tale impianto avviene in vasche quadrate dove ci sono dei pacchi lamellari, che accelerano il processo di separazione dei solidi dall’acqua“.

I chiariflocculatori accelerati a pacchi lamellari, così si chiamano, consentono di trattare la stessa portata d’acqua dei chiarificatori a pianta circolare ma in volumi almeno 20-30 volte più ridotti. “Il processo di separazione è accelerato perché dentro queste vasche – prosegue Iervolino – è presente una microsabbia, che appesantisce il fango e lo rende più facilmente separabile dall’acqua. A differenza degli altri impianti la filtrazione non è a gravità in vasche aperte ma avviene in pressione all’interno di serbatoi chiusi, in ambo i casi con l’azione della sabbia“.

Dei cinque potabilizzatori di Siciliacque, l’Ancipa è quello che tratta una maggiore portata d’acqua: fino a un massimo di 820 litri al secondo, con una potenzialità complessiva dell’impianto pari a 1.200 litri al secondo nei due lotti operanti in parallelo. Abbarbicato sulle montagne di Troina, nell’Ennese, questo impianto distribuisce in media 20,8 milioni di metri cubi di acqua potabile all’anno a due acquedotti: l’Ancipa Basso (per gravità) e l’Ancipa Alto (mediante pompe di sollevamento).

Il potabilizzatore di Sambuca, alimentato dall’invaso Garcia, rifornisce a gravità l’omonimo acquedotto e mediante sollevamento l’acquedotto Montescuro Ovest, per un totale di 13,7 milioni di metri cubi medi annui. Suddiviso in tre lotti, ciascuno con una potenzialità pari a 300 litri al secondo, tratta una portata d’acqua che può arrivare fino a 520 litri al secondo.

Anche il potabilizzatore Fanaco è costituito da tre lotti, ma con una potenzialità superiore – pari a circa 1.300 litri al secondo – e una portata effettiva che raggiunge anche i 700 litri al secondo. I 14,3 milioni di metri cubi medi annui d’acqua , distribuiti attraverso gli acquedotti Fanaco, Madonie e San Giovanni Gemini (in quest’ultimo caso mediante sollevamento), sono garantiti da diverse fonti di approvvigionamento: gli invasi Fanaco e Leone, il torrente Cacugliommero, il fiume Platani, le sorgenti Liste e Sant’Andrea, le acque di queste ultime vengono recapitate direttamente in uscita dall’impianto di potabilizzazione.

A Gela invece l’impianto di potabilizzazione è composto da due lotti che trattano una portata massima di 160 litri al secondo di acqua, proveniente dall’invaso Ragoleto e dal Cimia-Disueri. Il volume medio annuo di acqua che l’impianto tratta e distribuisce ai serbatoi comunali San Leo e Spinasanta, nonché alla Raffineria di Gela, è pari a circa 2,8 milioni di metri cubi.

Il potabilizzatore Blufi, infine, funziona in base alla disponibilità idrica del fiume Imera: normalmente 2 mesi all’anno, quando non ci sono stagioni siccitose. Questo impianto è dotato di chiariflocculatori a pacchi lamellari, che però, a differenza di quelli presenti a Gela, non sono accelerati dalla presenza di microsabbia.

 

Caratteristiche degli impianti di potabilizzazione gestiti da Siciliacque